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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Gian Carlo Ferretti, Vanni Scheiwiller. Uomo intellettuale editore

[Scheiwiller, Milano 2009]

L’immagine del “piccolo editore”, marginale ai grandi circuiti del mercato, sprovveduto, «invero un po’ troppo generoso» (come lo definì Sereni), e soprattutto eclettico, è quella che fino ad oggi ha sempre accompagnato la figura di Vanni Scheiwiller. Non che la leggenda fosse sprovvista di fondamenta. Scheiwiller per certi aspetti fu veramente un editore di qualità e di nicchia, che nulla aveva a che spartire con i grandi colossi editoriali; né nella cerchia di questi tentò mai di inserirsi. Oltretutto fu Vanni stesso a dare conforto a questa immagine, sia attraverso le sue edizioni, di piccolo e riconoscibilissimo formato e di tirature ridotte («mille e non più di mille [copie]», amava ripetere), sia attraverso le sue esternazioni pubbliche: si pensi a Trent’anni di editoria inutile, con cui nell’83 venivano presentati i titoli licenziati fino a quel momento, o al Catalogo dei libri che non ho pubblicato, con cui Scheiwiller festeggiava i cinquant’anni di attività libraria.

Eppure, se ci si ferma a questo livello di analisi, si coglie solo l’aspetto più superficiale, e a conti fatti meno veritiero, della casa editrice. Per questo motivo giunge tempestivo il libro di Gian Carlo Ferretti che demolisce, carte e documenti alla mano, i luoghi comuni che accompagnano l’immagine del “piccolo grande editore”. Scheiwiller, secondo la convincente ricostruzione di Ferretti, fece dell’eclettismo e della marginalità un valore, o più correttamente un marchio di fabbrica, attraverso il quale sopravvivere, economicamente, nell’incerto mercato delle lettere. Così, se è vero che pubblicava molti libri in perdita, è altrettanto vero che proprio questi volumi gli permettevano di presentarsi come editore di qualità, in modo da accaparrarsi poi i diritti di scrittori altrimenti intercettabili.

Si tratta di un atteggiamento estremamente pragmatico, che si riscontra anche nel rapporto che Vanni ebbe con gli autori più celebri (Fortini, Sereni, Montale ecc.): non potendo permettersi la pubblicazione di un loro intero volume (i cui costi sarebbero stati insostenibili) preferì ripiegare su piccole plaquettes, che sistematicamente anticipavano raccolte poi uscite per editori di più grande tiratura (un esempio su tutti: Un posto di vacanza di Sereni); o in altri casi, proprio a questi autori affermati Scheiwiller chiese, e ottenne (spesso gratuitamente), prefazioni o postfazioni a libelli di autori di nicchia. Oltre ad essere abilissimo nella costruzione del suo catalogo (quarantaquattro collane), Scheiwiller fu anche capace, quando fu necessario, ossia dopo la svolta industriale degli anni Ottanta, di pubblicare con finanziamenti statali, regionali o comunali, o addirittura di affiancarsi ad un grande editore per licenziare l’opera omnia di poeti importanti (il caso di Sbarbaro e Rebora, editi insieme a Garzanti).

La ricostruzione di Ferretti non fa luce solo sul singolo editore, ma offre al lettore uno squarcio di storia della cultura italiana del secondo Novecento; cultura che non è mai scissa dalla struttura economica della società, ma anzi a questa è inevitabilmente legata a doppio nodo. Questa consapevolezza non abbandona mai la produzione scientifica di Gian Carlo Ferretti, che da un punto di vista metodologico si rivela sempre esemplare. Ma non ha mai abbandonato mai neanche Vanni Scheiwiller, che, consapevole di ciò, riuscì a sopravvivere, apparentemente ai margini, e sempre all’insegna della qualità, in un mondo regolato quasi esclusivamente dal mercato.

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